Il nostro calcio? Se l’è mangiato il cane
Diciamo pure che il calcio sono loro. Nel senso che in linea di massima comandano loro, perché decidono quando si gioca e quando non si gioca, come devono essere le magliette e cosa ci si scrive davanti e adesso persino dietro, come ci si deve chiamare. Ormai va così: fondamentalmente è una questione di soldi e di affari in senso lato. E perciò la serie B si chiama come una società di scommesse, sotto i numeri dei giocatori c’è un’azienda di telefonia, e si stabilisce il calendario migliore per coprire i buchi della serie A senza pestare troppo i piedi alla Bundesliga. I tifosi sono utenti e clienti se non semplici telespettatori; gli stemmi e le bandiere diventano marchi… o meglio, brand.
Sabato per la nostra squadra ricomincia un altro campionato. Tornano così quei cronisti invasati che scimmiottano la tradizione ispanoamericana, che per un cross della Virtus che cade nell’area della Reggina urlano come se la loro famiglia vivesse da sette generazioni tra Santa Maria Maggiore e la Sacca, anche se non sanno nemmeno la differenza tra Abruzzo e Umbria. È il calcio moderno, quello dove comandano loro: pubblicitari fantasiosi ed esperti di marketing applicato a tutto lo scibile umano; manager e amministratori delegati che vanno bene per una Federazione sportiva come per una multinazionale che importa surgelati; presidenti e direttori che comunicano infilando una nuova parola in inglese ogni sei righe di un comunicato.
E siccome il calcio resta comunque uno, è lo stesso dove ci siamo tutti. Anche noi che saremmo andati comunque alla partita pure fosse stata un Pro Lanciano-Mesagne di Quarta Serie, e non ci saremmo mai persi un derbaccio con l’Ortona al vecchio campo della Vittoria in un pomeriggio piovoso d’inverno! (E per chi se lo fosse scordato, è grazie a quella roba che oggi siamo qui a fare i cadetti.)
Forse noi siamo una razza in via di estinzione, o una semplice minoranza. E sia ben chiaro che non pretendiamo neanche che quel calcio sia meglio di questo. Comunque noi siamo qui perché avremmo seguito la squadra pure se avesse giocato su un campaccio polveroso di paese, con una banalissima maglia fatta solo di strisce rosse e nere, sognando sempre di vederla un gradino più su… e figurarsi se non ce la vediamo adesso che è davvero in serie B!
Siamo qui nonostante quelle pacchianate sulla presentazione del pallone ufficiale, e nonostante per la redazione del calendario venga allestita una cerimonia che negli anni ‘60 non veniva organizzata neanche per un concerto dei Beatles; ci siamo pure se accedere alle tribune è più difficile che passare il controllo in un aeroporto dopo il 12 settembre del 2011; andiamo allo stadio anche se continua ad assottigliarsi la differenza tra le gradinate e una discoteca di Ibiza.
…E se ci chiedono dov’è il nostro di pallone restiamo lì come Piperita Patty, che alla maestra che le domandava dei compiti rispondeva innocente che li aveva mangiati il cane. Perché è evidente che qualcuno il nostro pallone se l’è mangiato. Loro? Può darsi. Se il business fosse rimasto quello di due tabelloni a bordo campo e una scritta (sola) sulla maglietta forse tanti di loro non ci sarebbero stati. Noi invece sì: anche se avessimo avuto ancora solo quella cazzo di maglia a strisce rosse e nere che può tranquillamente restare uguale per dieci anni e non ha bisogno di diventare un tabellone pubblicitario, perché deve essere la maglia della squadra di Lanciano e basta! È per questo che continuiamo a pensare che il calcio siamo noi.