Tarquini: «Il Lanciano è casa mia, torneremo grandi insieme»

Tarquini: «Il Lanciano è casa mia, torneremo grandi insieme»

Intervista all’attaccante del Lanciano che è tornato dove ha mosso i primi passi da professionista: la Virtus e la Serie B, i successi ad Avellino e nei dilettanti abruzzesi, fino alla nuova avventura in rossonero per contribuire a riportare la squadra della sua città nei palcoscenici che le competono




Alessandro Tarquini, ripartiamo dagli albori, dall’esordio in “tenera età” con il Lanciano di Riccardo Angelucci. Cosa ricorda di quel giorno?
«La partita era Lanciano-Juve Stabia della stagione 2005-2006 e l’allenatore era Francesco Monaco. Erano gli ultimi minuti e la palla non usciva. Davanti giocava Luca Paponetti che, visto che il gioco non si interrompeva, prese il pallone e lo rinviò fuori per poter permettere il cambio. Ad essere sostituito fu proprio lui. Quando gli diedi il cambio, prima di fare l’ingresso in campo, mi prese in braccio come un bambino. D’altronde avevo solo 16 anni».

In quegli anni fece diversi provini anche per club di categoria superiore, giusto?
«Sì, con Lazio e Cesena. Andarono entrambi a buon fine, ma in entrambi i casi non si trovò l’accordo sul prezzo del cartellino. Poi la Lazio si rifece sotto quando il presidente era Paolo Di Stanislao, ma il sequestro della società a gennaio non permise a me e al portiere Francesco Russo di passare ai biancocelesti».

Il giovane Tarquini in campo al Biondi contro la Cavese nel settembre 2008

Tra i 18 e i 20 anni ha militato nella prima Virtus targata Maio, cosa ricorda di quegli anni?
«Era tutto perfetto, non ci mancava nulla. Regnava la massima professionalità e c’erano tutti i presupposti per fare bene. Io feci diverse presenze, segnando anche un gran gol in Coppa Italia contro il Barletta. Tuttavia non fu la prima rete al Biondi. Quella arrivò l’anno prima, in una serata di Coppa contro la Valle Del Giovenco, sotto la Sud. Indimenticabile».

Poi il prestito all’Avellino in Serie D, ci racconti un po’ questa esperienza.
«Era l’anno zero per gli irpini, che ripartivano dalla Serie D dopo il fallimento. Eravamo una corazzata, e difatti arrivammo in finale play off per poi essere ripescati in Lega Pro. Ricordo con molto affetto la gente di Avellino e quell’annata meravigliosa, anche se non segnai molti gol, dato che quella stagione giocavo da esterno sinistro nel 4-4-2».




L’Avellino ora è in zona play off in Serie B: ha ancora rapporti con qualcuno dei biancoverdi, ex compagni o tifosi?
«Sento ancora l’attuale capitano Angelo D’Angelo. Lui è stato uno dei pilastri della scalata dalla Serie D alla B. Inoltre sono rimasto in contatto con vari tifosi tramite Facebook. Di quell’esperienza porto nel cuore il gol segnato contro la Vigor Lamezia davanti a 8.000 tifosi: un’emozione indescrivibile. Tra l’altro nella Vigor giocava Cosimo Chiricò, con cui due anni dopo avrei condiviso la promozione in B a Lanciano».

Poi il ritorno alla Virtus, culminato appunto con la promozione in Serie B. Cosa ha provato da lancianese in quella stagione?
«A livello personale fu un’annata travagliata per via di un infortunio che mi tenne ai box da gennaio ad aprile. Nonostante questo si respirava un’aria magica, di incredulità assoluta. I play off vinti rimarranno qualcosa di indelebile. Sarei rimasto volentieri in B, anche firmando un contratto al minimo sindacale. Decisero di non contare su di me per via dell’infortunio. Credo che sarebbe stato bello vedere un ragazzo di Lanciano indossare la maglia della propria città nel secondo campionato nazionale, ma evidentemente non tutti la pensavano così».

L’attaccante classe ’89, nell’amichevole estiva col Miglianico

Da Lanciano a Noto, ancora in D. Cosa andò storto in Sicilia?
«Il campionato in verità iniziò molto bene. Ci fu però un cambiamento decisivo in dirigenza: arrivò un nuovo diesse che portò con sé dodici giocatori, e in pratica a gennaio andammo via tutti».

Dopo la breve parentesi siciliana è stato uno dei bomber più prolifici in Eccellenza:, 48 gol in poco più di 3 stagioni, alternate da una parentesi in D a San Nicolò. Questo periodo prolifico è stato chiuso da un brutto infortunio, come si sente ora?
«Sì, 48 gol tra Giulianova, San Nicolò, Vastese e Cupello. Poi mi sono rotto il perone. Ora mi sento meglio, sia mentalmente sia fisicamente. Naturalmente devo convivere con qualche dolore, ma non posso lamentarmi».




Una carriera a livelli importanti, insomma. Quanto è stata dura tornare a Lanciano ripartendo così dal basso?
«Quando abbiamo saputo che avremmo disputato la Prima Categoria non nascondo che tutti noi abbiamo parlato. Il gruppo però era solido ormai. Ci siamo legati molto in estate, nel periodo della preparazione. Ci siamo guardati negli occhi e abbiamo deciso di scommettere su noi stessi per fare qualcosa di grande qui, con questa maglia addosso e per questa gente. Io, poi, ho avuto stimoli ancora maggiori: Lanciano è sempre stata la mia casa, sono cresciuto tra le mura del Biondi, e anche solo sentire l’odore dello spogliatoio che ho condiviso per anni con grandi persone, oltre che grandi giocatori, per me è stata una grande emozione. Sono contentissimo della scelta che ho fatto».

Lei è stato tesserato della Virtus per varie stagioni. Ha mai pensato che potesse finire così?
«Assolutamente no. Mai avuta la percezione che sarebbe successo qualcosa di simile. Nessuno, né giocatori né tifosi meritavano di ripartire così dal basso. Ma noi siamo qui per invertire questo trend e per far tornare a parlare di questa città come si faceva fino a qualche anno fa».

Il rigore trasformato da Tarquini contro la Virtus Ortona

 

Lei è venuto qui per un progetto pluriennale, come tutti. Dove intende arrivare con la maglia del Lanciano?
«L’obiettivo è la Serie D nel minor tempo possibile. Un campionato interregionale è il minimo a cui una città come questa possa puntare. Poi bisogna cercare in ogni modo di tornare tra i professionisti».

Quali offerte ha declinato in estate pur di vestire rossonero?
«Cupello, dove sono stato lo scorso anno. E Paterno, ora primo in classifica in Eccellenza. La mia volontà era quella di tornare a Lanciano già da diverso tempo. Non nascondo che è stata dura rifiutare le offerte che mi sono arrivate, ma ho deciso che in certi momenti il cuore conta più del portafogli: era giusto rimettersi in gioco qui, a casa mia».




Vi aspettavate tutto questo calore da parte dei tifosi?
«Siamo rimasti esterrefatti nel vedere 1.500 persone all’esordio al Biondi. Non ce lo aspettavamo assolutamente. Si è visto come questa città sia stata mutilata di uno dei beni più belli che aveva: il calcio. Forse questa mancanza di pallone ha fatto riaffiorare ancora più attaccamento, che è andato al di là della categoria. Ricordo partite di Serie C in cui si arrivava a fatica a mille spettatori. È’ stato bellissimo».

Punta al titolo di capocannoniere? Si è imposto un minimo di gol da mettere a segno?
«Ovviamente ci tengo. Ma gli obiettivi a cui guardo sono quelli della squadra. Bisogna vincere il campionato, e bisogna farlo indipendentemente dai riconoscimenti personali. Non ho mai pensato a traguardi di questo tipo, ma poi i campionati li ho vinti lo stesso e i gol sono arrivati da sé».

L’attaccante lancianese in una recente intervista

L’abbiamo vista giocare in diversi ruoli dalla trequarti in su: ce n’è uno che preferisce particolarmente?
«Mi adatto a giocare ovunque, ma se proprio devo scegliere dico esterno nel 4-3-3».

Si ispira a qualche giocatore in particolare?
«Penso non esista un appassionato di calcio della mia generazione che non abbia sognato una volta di diventare come Ronaldo il fenomeno. Era un giocatore di un altro pianeta, nonostante i mille problemi fisici».




C’è invece un compagno di squadra con cui ha avuto particolare affinità?
«Armando Iaboni a San Nicolò e a Vasto. A San Nicolò io feci 16 gol e lui 29: ci intendevamo a meraviglia. Anche a Vasto facemmo benissimo, nonostante un infortunio che lo tenne fermo per un po’».

Una chiosa sulla partita di domenica contro il San Vito 83?
«Prepariamo la partita come tutte le altre: pensiamo a noi, a restare concentrati per novanta minuti e a fare ciò che ci chiede il mister. Siamo abituati a lavorare così, indipendentemente dall’avversario».

Marco Abbonizio

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